Il re del bosco
Il tasso, animale solitario e guardingo, che predilige i boschi e le tenebre notturne, nella cultura rurale della Valnerina, è divenuto l’emblema del vivere selvaggio e delle doti necessarie a permettere di affrontare con successo questo tipo di esistenza. Tra queste doti, peculiari degli animali selvatici, vi è la scaltrezza intesa come capacità di prevenire il pericolo e di sfuggire ad esso.
Il pelo di tasso nel pensiero magico e religioso della Valnerina
Il pelo di tasso, purché regalato o rubato, o un pezzo di pelle munita di pelo, costituisce uno dei più efficaci antidoti all’oscuro potere della fascinazione (comunemente detta “malocchio“) e, nella cultura popolare, è usato come amuleto ogni qualvolta esista il rischio di essere esposti agli effetti della fascinazione: sul giogo dei buoi durante l’aratura, sui campani degli armenti che trainano il carro su cui viene trasportato il corredo nuziale diretto alla nuova residenza della sposa, sulla bandella del fucile da caccia, sulla porta delle stalle. L’assidua presenza del pelo di tasso a fianco delle immagini dei Santi dimostra quanto la componente magica sia ancora presente ed attiva nella cultura contadina e pastorale.
Dalla Valnerina al Giappone
Circa la scaltrezza attribuita in varie tradizioni al tasso, in Giappone è usato un epiteto, equivalente al nostro “vecchio volpone”, che suona “vecchio tasso” (furundanuki). Questo appellativo, tutt’altro che ingiurioso, era applicato a personaggi della levatura dello shogun Ieyasu Tokugawa il quale aveva meritato d’esser chiamato “vecchio tasso” per la sua abilità politica e per la sua notevole saggezza.
Tasso o istrice?
L’uccisione di un istrice (spinosa) era ritenuta azione gravida di conseguenze dannose per l’uccisore, tuttavia, la zampa dell’istrice era considerata- al pari del pelo di tasso – un potente amuleto contro il malocchio e l’invidia. In Valnerina, si usava portare addosso la mandibola della “spinosa” per preservarsi dalla fascinazione e dalle oscure malie delle streghe.
Alcune curiosità impensabili sugli aculei della “spinosa”
Secondo Giuseppe Bellucci, profondo conoscitore dell’Umbria, il valore apotropaico di cui gode l’istrice – ed in modo minore il riccio – deriva dal “numero indeterminato” degli aculei, di cui questi animali sono muniti. Oltre ciò, bisogna comunque tener presente che gli aculei, in quanto elementi di difesa e di offesa, partecipano intensamente, per la legge dell’analogia, al prestigio degli oggetti atti a garantire la difesa magica della persone contro i nemici invisibili.
Riproduzione riservata ©