“La festa di San Giovanni, più che una reliquia, è come saldo monumento di un’età anteriore alla storia, che il dente del tempo ha intaccato ma non distrutto.” (Francesco Finamore)
Che cos’è “l’Acqua di San Giovanni”?
La festa di San Giovanni , che cade il 24 di giugno, celebra la nascita del santo e non la sua morte, contrariamente a quanto accade per molti santi di fede cristiana. In Valnerina, in occasione del 24 giugno, alla vigilia delle celebrazioni in onore di San Giovanni, vigeva l’usanza di raccogliere fiori e di lasciarli macerare, per tutta la notte, in un recipiente d’acqua. L’esposizione all’aria aperta era detta “serenata” ed era ritenuta la condizione indispensabile perché l’acqua acquisisse le virtù terapeutiche legate a quella notte. Non a caso, nell’immaginario devozionale, Giovanni rappresenta il sole che tramonta per lasciar posto al fulgore del Sole che sorge. L’acqua di San Giovanni veniva preparata utilizzando principalmente l’iperico (pianta “scacciadiavoli” per eccellenza), la malva (cui la medicina popolare attribuisce molteplici proprietà terapeutiche), le foglie del noce, il caprifoglio dall’intenso profumo, l’aurea ginestra, il rosmarino, la fragrante lavanda, la salvia benefica, il basilico odoroso, le rose, il timo e la deliziosa mentuccia selvatica.
Usanze bagnate….usanze fortunate!
A Sant’Anatolia di Narco, nel giorno che anticipava la festa del Battista, particolare riguardo era riservato alla malva, la quale veniva raccolta prestando attenzione affinché fosse adeguatamente impregnata della “quazza de San Giovanni”. Perché la sua virtù restasse inalterata, al momento della raccolta,occorreva badare che il sole non avesse prosciugato la goccioline che bagnavano le foglie. Si riteneva, infatti, che la “quazza di San Giovanni” avesse poteri benefici: per questo motivo, nella notte cavallo tra il 23 ed il 24 giugno, ci si recava di buon mattino nei campi per bagnarsi gli occhi ed il volto con la rugiada notturna cosicché da fortificare la vista.
“I compari di san Giovanni”
Il comparatico, nella società rurale d’anteguerra, era un’istituzione che permetteva la tutela della famiglia. In caso di morte dei genitori, i compari assumevano, nei confronti dei loro figliocci e della comunità di appartenenza, il compito di allevare gli orfani. L’istituzione del comparatico, oltre che al fatto di essere una consuetudine avita che godeva del massimo rispetto, derivava il suo prestigio sacrale proprio dal culto di San Giovanni. Il perché della relazione Battista – compari può forse spiegarsi con la grande familiarità esistente tra Maria ed Elisabetta, madre di San Giovanni, ritenute – in qualche modo – una sorta di “protocommari“. In Valnerina, per suggellare un legame sacro e duraturo, i due futuri compari erano chiamati a scambiarsi mazzetti di fiori destinati alla preparazione dell’acqua di San Giovanni. A tale proposito, fu coniata l’espressione dialettale “commari a mazzittu”.
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