Una volta terminati i lavori nei campi, terminata la vendemmia, col vino nuovo nella otte, approfittando del maggior tempo a disposizione, dal mese di novembre – dicembre si riprendeva il lavoro della canapa che, in estate, era stata asciugata al forno.La prima operazione consisteva nel liberare la fibra di canapa dai “cocci”, ossia dai tegumenti dei semi rimasti aderenti. Per far ciò si utilizzava un apposito attrezzo di legno, detto “macenuria” o “macingola“, composto di due regoli di legno, disposti uno sull’altro, incernierati all’estremità inferiore mediante una spina di legno in modo che il regolo superiore, munito di manico, potesse alzarsi ed abbassarsi. Il regolo inferiore era fornito di due, o quattro gambe, in modo che restasse leggermente obliquo rispetto al terreno.
Facendo passare la canapa, in senso ortogonale, attraverso la “macingola”, si abbassava il regolo superiore ed, allo stesso tempo, si tirava con forza il fascio di fibre in modo che i “cocci” si separassero scivolando al suolo lungo le scalanature. Non vi era una data esatta per mondare a canapa: alcuni preferivano effettuare l’operazione in settembre. Una molta mondate, si provvedeva a “pettinare” le fibre, operazione che veniva detta “costà la canapa”. Si legavano i fasci di canapa ad un’estremità assicurandoli, in genere, alla scala di legno che portava al fienile. Usando una sorta di spatola arcuata, impugnata per le estremità, la si passava sui fasci di fibre per tutta la loro lunghezza.
Una volta “costata”, si provvedeva a legare in crocchie le fibre, operazione detta “arroccià la canapa”. Si portavano “le rocce” dal cardatore che provvedeva a cardare la canapa usando due tavole munite di chiodi. A questo punto le fibre erano pronte per subire l’ultimo trattamento: la bollitura. Per rendere le fibre perfettamente pulite, si procedeva a bollirle in un capiente caldaio aggiungendo una quantità di cenere, operazione detta “liscià”. Dopo asciugate, la canapa era finalmente pronta per essere fiata usando la conocchia ed il fuso, operazione delegata alle donne che si protraeva nei mesi invernali, di sera, accanto al camino. Si ottenevano due qualità di filo, uno più sottile, detto “lu noccu” ed una più grossolana chiamata “lu tumintu“, usata per tessere lenzuola o indumenti di lavoro particolarmente resistenti.
Una volta filata la quantità di lana necessaria alla confezione di un determinato tessuto, se non si aveva in casa il telaio, si portavano le matasse di filo alla tessitrice. I rotoli di canapa costituivano una parte importante della dote, a tal punto che lo status di una sposa si deduceva da quanti “roduli” conteneva la cassapanca nuziale.
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Da vedere:
- L’Abbazia dei Santi Felice e Mauro;
- Il borgo di Santa Anatolia di Narco;
- Il Castello di Gavelli;
- Castel S.Felice;
- L’Oasi naturalistica dei Monti Coscerno ed Aspra;
- Il Piano delle Melette;
- Il Castello di Caso;
Nelle vicinanze:
- Cerreto di Spoleto, il borgo dei “Ciarlatani”;
- Scheggino, il Diamante Nero della Valnerina;
- Postignano, un Castello all’Orizzonte;
Itinerari suggeriti:
- Cerreto di Spoleto, Vallo di Nera, Sant`Anatolia di Narco, Scheggino – Tra Cielo e Terra: Gli itinerari del Sacro in Valnerina;
- Da Cascia alla Cascata delle Marmore: alla scoperta della Valle del Nera;
- Sant’Anatolia di Narco – Le Faggete del Laghetto di Gavelli;
- Sant`Anatolia di Narco – Risalendo lungo il Nera fino all’Abbazia di San Felice;
- Scheggino – Da Scheggino a Sant`Anatolia di Narco: Il Museo della Canapa;