Dalla Valnerina a….Benevento
Il noce, in tutta la Valnerina, è stimato per quel che riguarda il pregiato legno ed i frutti, elemento importante nell’alimentazione invernale delle classi meno abbienti. Allo stesso tempo, i contadini hanno del noce una percezione particolarmente negativa: sostengono che non sia un bene avere un albero di noce nei pressi della casa, che addormentarsi all’ombra di questa pianta non sia affatto salutare e che, qualora gli animali da pascolo cerchino refrigerio all’ombra dei noci, si ammalino misteriosamente. Un’attenzione particolare, che pone in risalto le valenze negative di quest’albero, merita la relazione il noce e le scorribande notturne delle streghe. Un tema, questo, ampiamente diffuso in Valnerina e, in apparenza, derivato dal celeberrimo Noce di Benevento, attorno al quale si svolgevano sinistri riti pagani. Nei racconti popolari della Valnerina, il noce di Benevento appare frequentemente, ma ciò non deve indurre a conclusioni affrettate. Potrebbe anche darsi che, in entrambi i casi, le leggende si siano formate conseguentemente alla valenza infera della pianta.

Un mito classico assolutamente da non perdere
Nell’universo notturno delle streghe, vi sono dei luoghi specialmente prediletti per i loro incontri. Tra di essi alcuni grandi alberi annosi – noci e querce – non scelti a caso dalla tradizione campagnola. Esiste, infatti, un’antica relazione tra l’albero di noce e Diana, relazione che passa attraverso la greca Artemide. Quando, con la decadenza della religione romana, Diana diventa la signora delle notturne congreghe di donne dedite al male, il noce passa ad essere albero prediletto dalle streghe. Per comprendere l’associazione tra l’albero del noce e le streghe nelle tradizioni popolari, bisogna tener presente l’antica relazione tra il noce e Diana e, per fare ciò, occorre accennare al mito di Caria. Racconta il mito greco che Caria, la bella figlia di un re spartano, morì prematuramente e fu trasformata da Dioniso, impietositosi della sua sorte, in un albero di noce (karyon). Fu Artemide a portare la notizia al popolo spartano i quali costruirono un tempio in onore di Artemide Cariatide. Da questo epiteto presero nome le Cariatidi, le statue femminili – ricavate da un legno di noce – che fungevano da colonne. Va inoltre ricordato che, nella Grecia arcaica, veniva celebrata una dea, Kar (o Ker), che aveva dato il suo nome proprio alla regione della Caria. Esiodo la chiama sorella di Thanatos, la Morte. Omero la definisce “funesta“, Eschilo “rapitrice di viventi”. Sue figlie, o sue manifestazioni fatali erano le Keres, dee del destino, raffigurate come mostri alati dai lunghi denti e dalle grinfie adunche, dedite a squartare i cadaveri e a bere il sangue di morti e feriti sui campi di battaglia.

Il noce di Benevento
Questi arcaici miti, sopravvissuti nell’Italia meridionale, anche per la presenza delle antiche colonie greche, diedero origine alla leggenda del noce delle streghe, o noce di Benevento. La pianta era divenuta una vera ossessione dei buoni prelati e, se prima sotto i suoi rami si riuniva il volgo ignorante a mormorare incantesimi e pasticciare fatture, con l’arrivo dei Longobardi le cose si complicarono non poco: costoro, infatti, consideravano sacro quel noce ed attorno ad esso eseguivano cavalcate selvagge strappando dei lembi da una pelle di animale appesa all’albero, come bestie feroci. L’occasione propizia per il clero locale si verificò quando Costante II, Imperatore di Bisanzio, si presentò sotto le mura di Benevento con un esercito troppo potente anche per dei valorosi guerrieri germanici. Fu così che il vescovo Barbato stipulò con il sovrano longobardo un accordo inevitabile: la rinuncia da parte dei suoi combattenti alle pratiche pagane in prossimità del noce, rinuncia che avrebbe evitato l’onta della resa. Successivamente, l’albero fu tagliato ma da una radice dell’antico noce, scampata ai fendenti del sovrano Romualdo, spuntò – con diabolica pervicacia – un altro pollone. Il secondo noce crebbe e godé di buona salute fino a quando, quasi millenario, si seccò. Attorno ad esso venne intessuta dal volgo campano la tradizione delle “janare” e dei loro riti: oscene riunioni cui presiedevano maestosi caproni forniti di corna possenti. “Janare” erano dette, nel dialetto locale, le streghe: “janare” deriva infatti da “dianare”, cioè seguaci di Diana.

….Un castello misterioso
Secondo la tradizione, appena fuori dall’abitato di Avendita, in località Canicchiano, di notte – in prossimità di un noce- si riunivano streghe e negromanti. Va sottolineato, a tale proposito, che in prossimità dell’albero sorgessero le rovine dell’antico castello di Frenfano all’interno del quale, intorno alla metà del Trecento, si asserragliarono i ribelli ghibellini, prima di essere sloggiati dalle truppe del cardinale Egidio de Albornoz. La relazione noce – streghe, in questo caso, deve essere stata rafforzata dal fatto che l’albero non crescesse lontano da quelle sinistre rovine che la fantasia popola di inquieti fantasmi. Anche a Cortigno, appena fuori il paese, c’era un vecchio noce sul quale si riunivano, nottetempo, le streghe. Il fatto che molti alberi sinistri siano situati non dentro i borghi ma fuori di essi, non è casuale. Lo spazio abitato è spazio consacrato, posto sotto la tutela del santo protettore. E’ pur vero che le influenze nefaste, , nonostante ciò, possano introdurvisi, ma si tratta tuttavia di presenze che non vi abitano in maniera abituale. Gli spazi esterni al perimetro del villaggio, o all’antica cinta muraria, al contrario sono abituale dimora di entità malvagie, specie in relazione a certi luoghi, o alberi, dotati di prestigio negativo, sebbene le manifestazioni terrifiche di tali entità avvengano specialmente di notte.

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