San Vito, martirizzato ai tempi di Diocleziano, è uno dei quattordici santi ausiliatori. Il martire, la cui figura ricorre frequentemente nell’iconografia sacra della Valnerina, viene rappresentato con un cane al guinzaglio, o accucciato ai suoi piedi, perché ne è ritenuto protettore contro la rabbia. A Ceselli di Scheggino è tuttora vivo il culto a San Vito. Il 15 di giugno, le gente veniva da lontano al piccolo oratorio romanico dedicato al santo portando i propri cani. Li si faceva girare attorno all’altare dietro il quale c’era una cavità nella quale erano fatti adagiare. Nella medesima cavità veniva deposto, o strofinato il pane da somministrare, come profilattico, ai primi sintomi di rabbia.
Nella medesima occasione, veniva preparato il “pane di San Vito”. Oggi, ci si reca in processione portando la statua del santo dalla chiesa parrocchiale dedicata a San Michele Arcangelo, fino alla chiesa originaria dalla quale l’immagine fu prelevata per proteggerla da eventuali furti. Dietro l’altare dell’oratorio di San Vito, a Ceselli, s’apriva un arco che metteva in comunicazione il corpo dell’edificio con l’abside.
L’arco è stato tamponato non oltre il 1604, come testimonia la data dipinta sotto l’affresco commissionato da Giulio Costani che raffigura il Crocefisso tra San Vito, a destra, e la Vergine sulla sinistra. Ai piedi di San Vito, è dipinto un botolo in atto di digrignare i denti, forse a rappresentare la rabbia canina. Alla destra dell’altare, s’apre un piccolo pertugio, un tempo munito di grata, in cui è d’obbligo introdursi carponi, il quale doveva servire a permettere ai cani l’accesso all’abside. Non si conosce con esattezza il periodo storico in cui il culto di San Vito si impiantò in Valnerina, si sa però che, nel territorio di Monteleone di Spoleto, un toponimo “Sanctus Vitus” compare nella lista di terreni ceduti nel 924 da Giso, abate reatino, al figlio Takeprando per cui se ne può dedurre l’esistenza di una chiesa dedicata al Santo.
E’ probabile che al culto tributato a San Vito, protettore dal morso dei cani rabbiosi e dei cani dalla rabbia, si sia sovrapposta la funzione di protettore dal morso dei serpenti e dagli effetti del loro veleno. E’ ugualmente probabile che l’origine di questa attribuzione sia da rintracciare in Abruzzo, dove il supremo protettore dai serpenti è, invece, San Domenico di Cocullo. In ogni caso, sia per quanto concerne San Vito che San Domenico, sembrerebbe trattarsi di antichi culti cristianizzati. La relazione tra gli antichi abitanti dell’Abruzzo ed i serpenti risale a tempi remoti giacchè l’eroe eponimo, Marso, figlio della maga Circe, aveva ereditato dalla madre l’ate di incantare i serpenti e quella di neutralizzare gli effetti dei loro veleni. Essendo i Marsi discendenti di Marso, e dunque di Circe, in loro è presente una virtù naturale capace non solo di repellere i serpenti, ma addirittura di ucciderli con la saliva.
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