Dall’Antica Roma alle invasioni dei barbari, il cereale “sopravvisuto”
Durante l’epoca delle invasioni dei popoli germanici – Goti e Longobardi – la produzione di grano registrò una notevole flessione negativa a vantaggio di altri cereali molto usati nella dieta delle popolazioni nordiche, quali la segale, l’avena, l’orzo, il miglio ed il farro, quest’ultimo già usato nell’alimentazione dei Romani e degli Umbri e, presso entrambi i popoli, impiegato anche come ingrediente indispensabile in alcuni contesti rituali. In Umbria, almeno fino a tutto il Trecento, il farro continuò ad essere utilizzato per preparare il pane dei poveri e, nella dieta del contadino, sotto forma di farinate per far polenta (lu sfarratu) e zuppe.
La polenta di farro e la “spianatora”
Il nome dialettale della tradizionale polenta di farina di farro è, come anticipato, sfarratu, stesa su una tavola di legno perlopiù di faggio (spianatora). In Valnerina, in particolar modo a Monteleone di Spoleto, sulla polenta di farro si versa del lardo locale tagliato a pezzi e soffritto per poi condirla con cacio forte di pecora. Questa ricetta contadina, fin dal tempo degli antichi Umbri e Romani, non ha subito variazioni di sorta e, per millenni, è stata usata per preparare un piatto robusto, nutriente e, soprattutto, autarchico. Con “du’ ova de conserva” – equivalenti ad un paio di uova non particolarmente fresche – un po’ di lardo ed una generosa aggiunta d’acqua poteva prepararsi il sugo della domenica, o quello di magre da servire la notte di Natale.
Lo “farre di Sant’Antonio”
A San Marco di Norcia, per la festa di Sant’Antonio Abate, si preparava “lo farre de Sant’Antonio”. Il farro, tritato grosso con la macina casalinga di pietra (“la macinella”), veniva fatto cuocere in acqua salata, o in brodo, e condito con cacio di pecora. Alcune famiglie del luogo provvedevano a preparare il farro in un grosso “callaru” e lo offrivano successivamente ai membri della comunità. A partire dagli anni ’50 il farro è stato progressivamente sostituito dal pane, preparato in filoni da sei pezzi. Il pane veniva portato in chiesa per essere benedetto, assieme al sale. Parte dei filoni, rinvenuto in acqua, veniva somministrato agli animali per proteggerli da malattie e disgrazie.
Il culto della dea Cerere ed il farro
A proposito dell’uso del farro in occasione della festa di Sant’Antonio Abate, le origini della tradizione sembrano risalire a tempi remoti. La celebrazione della festa del santo patrono degli animali, infatti, coincide col periodo in cui, nell’antica Roma, venivano celebrate le feste rurali dette “Feriae Sementiuae”, sotto la tutela di Tellus, la Madre Terra e di Cerere. Il giorno esatto della festa, anno per anno, veniva fissato dai pontefici a sottolineare la nobile carica spirituale di cui veniva investito un momento così ricco di sacralità. Come spiega Varone “il giorno delle Feriae Sementiuae è così chiamato dalle semenze, perché tali feste sono state istituite a cagine della semina”.
“Lo focu di Sant’Antonio” e quell’usanza pagana mai dimenticata
Nell’Alta Sabina l’usanza dei pagani foci, fuochi villerecci connessi alla sacralità della fiamma intesa come fonte di luce e strumento di purificazione, è strettamente connesse alle celebrazioni in onore di Sant’Antonio Abate. All’indomani della festa in onore del patrono protettore degli animali, con i carboni de “lu focù di Sant’Antonio” si tracciavano croci sulle porte delle stalle, a difesa dai malefici e, in alcuni luoghi la si tracciava sul bestiame. Il contatto tra animale e fuoco consacrato avviene in modo differito: tramite il carbone prodotto da quella fiamma e non in modo diretto come avveniva negli antichi riti di purificazione (quali ad esempio le Parilia romane). Restano comunque identici l’intezione e l’elemento mediante il quale il male viene neutralizzato: il fuoco.
Riproduzione riservata©
Nei dintorni:
- Cascia, la Città di Santa Rita;
- Poggiodomo, la Terra del Cardinale;
- Preci, il Paese dei Chirurghi;
- Cerreto di Spoleto, il Borgo dei Ciarlatani;
- Santa Anatolia di Narco, la Valle del Drago;
- Norcia, la Città dei Santi Benedetto e Scolastica;
- Scheggino, il Diamante Nero della Valnerina;
Itinerari suggeriti: