Luglio…”col bene che ti voglio”!
In passato, i contadini della Valnerina percepivano i giorni della mietitura come un periodo di intenso e durissimo lavoro ma, al contempo, di spensieratezza e di gioia comunitaria: “luglio è il mese che ci fa contenti”, diceva un nostro anziano informatore sorridendo. Tempo di gioia, la mietitura, ed anche tempo di ringraziamento. Nessuno più del contadino di una volta, la cui sopravvivenza non era garantita soltanto dalle fatiche e dall’ingegno, ma anche dal favore degli elementi, sapeva quanto la vita dell’uomo dipenda dalla Provvidenza. La preghiera, la supplica ed il pellegrinaggio facevano parte delle “tecniche” agrarie tanto quanto il lavoro stesso. Prima dei razzi antigrandine, si usavano le invocazione a Santa Barbare e le campane suonate a distesa. Prima degli antiparassitari, si accendevano i fuochi di San Giorgio. Il prima, tuttavia, non presuppone un’evoluzione: la preghiera e la tecnologia per il controllo dei fenomeni atmosferici appartengono a concezioni del mondo diverse.

Lu sirricchiu
Un’espressione colta sulle labbra di un nostro contadino, rende l’idea di come la mietitura, nella tradizione rurale, non fosse vissuta solo come un duro lavoro: “Ho trovato a mete” : ho trovato a mietere, in senso figurato, significa “ho fatto fortuna“. Non a caso, al tempo della mietitura, i braccianti, oltre alla paga giornaliera, avevano diritto almeno a quattro pasti al giorno e, sebbene il lavoro fosse duro, i giorni della mietitura erano giorni di relativa abbondanza. Esisteva, inoltre, un rapporto particolare tra il contadino ed il suo falcetto (sirricchiu), espresso da un atteggiamento di gratitudine nei confronti di quello strumento che, maneggiato accuratamente, permetteva di cogliere il frutto del lavoro dei campi.

La mietitura come fenomeno culturale e sociale
Sebbene la mietitura fosse un lavoro improcrastinabile poiché il buon esito della medesima dipendeva dalle condizioni atmosferiche, nei giorni di festa religiosa, dedicarsi alla mietitura era considerata una colpa grave: ad esempio a Grotti, in occasione della festa di San Pietro e Paolo protettori del paese, qualunque fossero le condizioni del tempo, anche le più favorevoli, si smetteva di mietere e si ascoltava la messa solenne. Nelle domeniche, era permesso mietere purché si ascoltasse la messa. Per agevolare chi era impegnato nel lavoro di campagna, durante il periodo della mietitura, il prete celebrava la funzione alle quattro del mattino. Chiudendo questi brevi appunti sulla mietitura, considerata come fatto culturale e sociale, accenniamo ad un’usanza importante che rimanda ad arcaici orizzonti autoctoni. In tutta la Valnerina era diffuso il costume di disporre i mannelli di grano (mannocchi), che componevano il covone, in numero dispari (i più ricorrente erano il 13 ed il 17). Evidentemente il costume era motivato dal valore simbolico attribuito al numero dispari, associato alla generazione: l’archetipo è il numero 3 che rimanda alla coppia generatrice maschio-femmina cui si aggiunge il risultato della procreazione.

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