Due nursini alla conquista d’Europa
Nel 480, quattro anni dopo che Odoacre, re degli Eruli, deposto Romolo Augustolo, s’era proclamato imperatore, nacquero i più illustri figli dell’antica Norcia: Benedetto e Scolastica. Compiuti i primi studi, Benedetto fu mandato a Roma a perfezionarsi nelle lettere e negli studi giuridici. In quegli anni al comando di Teodorico re degli Ostrogoti, l’armata imperiale di Bisanzio sembrava aver ristabilito l’ordine. Il sole di Roma era al tramonto e gli ultimi barbagli dell’avito splendore non valevano a fugare le ombre della corruzione civile e della decadenza morale. Anzi, le rendevano ancora più nette e cupe. Benedetto compì allora la scelta cui, spesso, i santi sono chiamati: tra il perfezionamento della cultura e quello dello spirito, scelse la via che, lontano dal mondo, conduce a Dio. Abbandonata l’Urbe, si ritirò nell’agro tiburtino della solitudine.
Tre miracoli eccezionali
Per neutralizzare il nemico più pericoloso, la tentazione, cercò rifugio in un antro remoto, tra i monti di Subiaco. Tre anni durò il suo ritiro, fino a quando, di nuovo scoperto per i suoi miracoli, si fece persuadere ed assunse la guida di una comunità monastica locale. Quei monaci, però, non accettarono la disciplina che il giovane voleva imporre loro. Tentarono di avvelenarlo, ma un segno di croce infranse la coppa. Questo periodo della sua vita fu costellato di miracoli: fra tutti l’acqua fatta scaturire sulla cima di un monte e la lama della roncola di un goto richiamata dalle profondità di un lago. Ma i grandi fuochi si scorgono da lontano: la fama di Benedetto giunse a Roma. Romani furono due tra i suoi primi discepoli: i nobili giovinetti protagonisti di uno dei miracoli più celebri, quello in cui ad uno di essi, Mauro, venne concesso di camminare sulle acque per salvare l’altro, Placido. Nuovamente, l’invidia d’un prete tentò di avvelenare Benedetto, stavolta con un pane e questi interpretò il segno: era giunto il momento di aprire un nuovo cammino. Era l’ora di spiccare il volo. Così, tra il 525 ed il 529, assieme ad alcuni suoi discepoli, giunse a Montecassino.
La Regula
Lassù, dove sorgeva un tempio dedicato ad Apollo, ebbe inizio la “scuola del servizio divino” fondata sulla sua Regola. La Regula – che egli definitiva “un abbozzo per principianti” – il dono più prezioso di Benedetto, ha permesso alla Chiesa, per secoli, di cogliere una messe copiosa di santi. L’Autore aggettivò la Regola come “fermento della divina giustizia” e proprio da quell’essere “fermentum”, lievito saturo di vita, deriva l’inesausta efficacia che le ha permesso di sfidare vittoriosamente le leggi del tempo. Al suo totale servizio, attraverso la via dell’obbedienza, virtù spiccatamente romana, il monaco realizza il ritorno a Dio: “ora et labora, oboedientia sine mora”. Romana è l’importanza attribuita al lavoro, che spesso trasforma il territorio prosciugando paludi, tramutando la selva in terreno coltivabile, rendendo migliore l’esistenza. Cristiana è la dignificazione della manualità, un tempo riservata agli schiavi, ora, sull’esempio del Cristo Falegname, considerata un prezioso privilegio. Da questa prospettiva, Benedetto meritò il titolo di “Padre d’Europa”.
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