Il rito delle Rogazioni, nella società agricola della Valnerina, assolveva ad un compito fondamentale in quanto assicurava ai frutti della terra la protezione contro le folgori, le tempeste e la grandine; la protezione contro gli uccelli voraci, gli insetti e gli animali nocivi al raccolto; la protezione contro la siccità e le inclemenze estreme del clima assicurando, in tal modo, la feracità del suolo ed il suo sostentamento. La percezione del nutrimento come dono di Dio da parte del contadino è espressa in modo efficace dalle parole del vecchio poeta pastore Luigi Salvatori di Rescia il quale definisce il grano <<grazie del gran Fattor degli elementi>>.

Le rogazioni sono, nel cattolicesimo, preghiere, atti di penitenza e processioni propiziatorie sulla buona riuscita delle seminagioni e si distinguono in “maggiori” e “minori”.
Il ruolo delle Rogazioni (sconniuri / scunniuri) nella fede popolare, invece, è espresso con queste parole da un’anziana di Popoli : << pe’ non fa’ venì la grandine e le bestie>>, ossia i parassiti nocivi alle piante alimentari. Le rogazioni erano eseguite, secondo il calendario liturgico, nelle seguenti date: 25 Aprile, festa di San Marco; il tre di Maggio, giorno della Inventio Crucis: si benedicevano le campagne in direzione dei quattro punti cardinali; nei tre giorni precedenti l’Ascensione. Le Rogazioni proseguono, in ambito cristiano, gli antichi riti dei Robigalia romani, volti ad ottenere a protezione dei frutti della terra e specialmente dei cereali dalla ruggine (robigo) che avrebbe potuto compromettere la produzione. Ai tempi di Papa Liberio (352 – 366) le Rogationes, o “Suppliche” per la fecondità della terra e l’abbondanza dei raccolti, soppiantano e antiche processioni che avevano luogo durante i Robigalia.

L’usanza ha origini molto antiche e risale a un evento accaduto nella Gallia Lugdunense nel V secolo. Nell’anno 474 si abbatterono nel Delfinato varie calamità naturali e un terremoto. Mamerto, vescovo di Vienne (poi proclamato santo) chiese ai suoi fedeli di avviare un triduo di preghiera e di digiuno e stabilì di celebrare solenni e pubbliche processioni verso alcune chiese della diocesi. I tre giorni di penitenza si conclusero il giorno dell’Ascensione.
Il nome della festa, Robigalia, cui scopo principale era esorcizzare la presenza dei parassiti del frumento, deriva al teonimo Robigus, divinità a cui le celebrazioni erano consacrate. Secondo la tradizione Robigus era una delle poche potenze malvage che, nella religione romana, ricevessero culto. Ovidio, insieme a Columella, Tertulliano, Lattanzio ed Agostino presenta Robigo come una dea; Varrone, Verrio Flacco e Festo, invece, menzionano una divinità di nome Robigus ma di sesso maschio. Ovidio, nei Fasti, dà una vivida descrizione dei Robigalia: una turba vestita di bianco, preceduta dal flamine Quirinale, si recava nel lucus, il bosco sacro all’antica Robico, dove offriva alla dea il sacrificio di una cagna e di una pecora gettandone sul fuoco le viscere. Il flamine, assieme all’incenso ed alle interiore dei due animali, spargeva sul fuoco del sacrificio una tazza di vino. Il sacrificio della cagna era posto in relazione alla costellazione del Cane (Canicula) il cui apparire è accompagnato dal caldo torrido, detto appunto “canicola”, che dissecca la terra e danneggia le messi facendole maturare troppo precocemente.

Croci in legno destinate ad essere collocate nei campi per proteggere il raccolto dalle calamità naturali.
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Da vedere in Valnerina:
– Cascia, la Città di Santa Rita;
– Preci, il Paese dei Chirurghi;
– Norcia, la Città del Tartufo;
– Scheggino, il Diamante Nero della Valnerina;
– Santa Anatolia di Narco, la Valle del Drago;
– Vallo di Nera, il Borgo-Castello;
– Cerreto di Spoleto, il Paese dei Ciarlatani;
– Poggiodomo, la Terra del Cardinale;
– Monteleone di Spoleto, il Leone degli Appennini;