La storia rurale ed antropologica della Val di Narco racconta di un territorio condannato per secoli, sino ai tempi più recenti, ad un endemico analfabetismo dovuto perlopiù alle difficoltà ambientali, all’emarginazione sociale ed all’inesistente scolarizzazione pubblica che per lungo tempo caraterrizzò il tessuto socio-economico dell’Appennino (a proposito di istruzione: le scuole private, generalmente gestite da ordini religiosi, erano accessibili solamente agli studenti dei grandi centri urbani, come – ad esempio – la ducale Spoleto). Quanti talenti di estrazione agro-pastorale sono rimasti inespressi nei secoli passati! Tra il ‘300 ed il ‘700 nel territorio della Val di Narco sono emerse, nonostante oggettivi ostacoli socio-economici, alcune personalità affermatesi nella professione notarile, nella pittura, nell’arte scultorea, nella cultura letteraria e giuridica, nell’insegnamento e nella gerarchie ecclesiastiche che, per capacità e curriculum, difficilmente hanno trovato eguali. Per questo motivo, te ne sveleremo alcune nelle prossime righe.
Dal cancelliere Guido Provinciotto a Messer Sante Cristofori, storie di notai made in Grotti
Tra il XIV ed il XVI secolo alcuni personaggi della Valnerina si sono distinti in ambito notarile e pedagogico. In una pergamena dell’Archivio capitolare di Spoleto si fa riferimento ad un atto del vescovo di Spoleto, datato 1292, relativo alla Pieve di Santa Maria di Narco: copia di tale documentazione fu redatta dal notaio Guido di Provinciotto, nativo di Grotti. Qualche secolo più tardi, precisamente nel 1469, Ser Franciscus de Gruptis ottenne dal Comune di Spoleto il conferimento di un incarico annuale come maestro artis gramaticae presso le scuole del Ducato e,successivamente, la rinomata concessione della cittadinanza spoletina. Un altro notaio grottigiano, Ser Tommaso Leonardo, redige nel 1482 la copia di un atto concernente la risoluzione di una controversia tra Vallo di Nera e Castel San Felice. Sempre nell’Archivio capitolare di Spoleto, è conservata la documentazione relativa ad una vertenza tra i castelli di Monte San Vito e Civitella, siglata dal notaio Messer Sante Cristofori dalle Grotti. Negli atti amministrativi di Scheggino, invece, trova menzione il nome di un altro cancelliere grottigiano: Bernardino Paoli “de castro Griptarumm publicus notarius ed actuarius”.
Alla scoperta del Rinascimento Umbro sulle orme di Piermarino di Giacomo
Negli anni a cavallo tra il ‘400 ed i ‘500, al tramontare del Medioevo, fiorì il più grande movimento culturale pre-moderno della civiltà italiana: il Rinascimento, profondamente ispirato dalla classicità greco romana delle arti figurative. All’interno di questo scenario, il più noto pittore naricolo – vale a dire nato in Val di Narco – fu Piermarino Di Giacomo, allievo di Giovanni Spagna. Una notevole testimonianza della sua ars pittorica è custodita nella chiesa di San Nicola a Scheggino ove, dopo la morte del suo maestro, dipinse parte degli affreschi absidali. Anche nella chiesetta delle Scentelle, edificata presso Grotti nel luogo di intersezione tra l’antico camminamento che conduce a Norcia ed il diverticolo che immette sulla Via della Spina, si ammira un’effige raffigurante la Madonna col Bambino, la quale – secondo Ansano Fabbi – è attribuibile al Di Giacomo.
Schegginesi umanisti, Mattiangelo Amici e Francesco Angelo Amadio
Parlando di umanisti nati in Valnerina è doveroso menzionare Mattiangelo Amici, arciprete di Scheggino, contemporaneo del cardinale Fausto Poli. Oratore di fama, Mattiangelo Amici fu autore di alcune monografie storiche: epigono della classicità rinascimentale , ha scritto eleganti orazioni latine, tra cui De laudibus Spoleti, pubblicate nel 1631. Nel ‘700 ha raggiunse notevole notorietà un altro abitante di Scheggino, Francesco Angelo Amadio, progettista delle più importanti dimore nobiliari della Spoleto aristocratica. L’Amadio coordinò la realizzazione del Palazzo Alberini – De Domo (di proprietà della famiglia Pucci della Genga), di puro gusto neoclassico, edificato nei pressi della cattedrale cittadina. All’architetto schegginese viene attribuita anche la progettazione della Villa di Matrignano, dimora prediletta dal pontefice Leone XII, e non meno la realizzazione di una delle facciate del Palazzo Comunale, opera “quasi improntata a rustica signorilità” – scrive Bruno Toscano -.
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