C’è un mestiere, nel cuore della Valnerina, che custodisce tra le epigrafi della sapienza umbra l’identità di un territorio dal sapore speziato, un atlante le cui pagine invecchiano sotto archi e volte di pietra scavate dal vento, tra gli echi cinerei della tradizione e della memoria: Il Norcino, poeta di un’Umbria arcaica celebrata nei templi sacri dei sapori italici tra orchestre di incesi dagli aromi primordiali. Un sentimento, quello tra uomo e suino, che da elemento antropologico diventa orizzonte culturale ed identitario di una cosmologia di artigiani e scultori che conserva nella ritualità di antichi costumi il ricordo una civiltà rurale germogliata tra i sussurri del Tempo.

L’abilità nella lavorazione e della conservazione delle carni del maiale dell’abitante di Norcia è sancita dall’estensione di significato del termine norcino, che da abitante di Norcia (che per correttezza è Nursino) è passato ad indicare universalmente colui che lavora e commercia con le carni del maiale.
Smarrita tra i labirinti della memoria, nell’etimologia del termine “norcino” si materializza la linearità medioevale di una skyline dall’incedere geometrico che circoscrive cielo ed orizzonti di un borgo divenuto metafora e paradigma della bellezza e della sapienza umbra: Norcia, la Città dei Santi Benedetto e Scolastica. Ed è proprio nella sapienza della macellazione che dimora quel millenario senso di appartenenza che traccia l’epopea di maestri ed artigiani , antologia di un’antica corporazione esportata nell’Italia del Secondo Novecento lungo le polverose rotte migratorie a cui genealogie di norcini affidarono quel riscatto sociale raggiunto sotto il cielo di Roma, la Grande Madre che accolse nel ventre della Storia la sapienza delle Terre Umbre.

La fantasia degli abitanti della Valnerina, ma sopratutto la necessità di trovare modalità diverse per la conservazione del maiale, ha portato alla creazione di diverse specie di salumi fra cui: il salame o collarina umbra, il capocollo, il lombetto o lonza, la salsiccia, il mazza fegato, il barbozzo o guanciale, i cojoni di mulo, la coppa di testa, il sanguinaccio, la ventresca.
L’uccisione del maiale, cerimoniale arcaico sbocciato le ceneri del Paganesimo, segna nel lunario contadino l’acme della ritualità agraria consegnando all’eternità della memoria popolare pagine acri di una drammaturgia proiettata sugli orizzonti di una civiltà rurale che evoca, nello svolgimento della macellazione, fantasmi e torri di fumo appartenuti alla mitologia greca e riconducibili al culto dell’ancella Maia, divinità consacrata all’agricoltura sui cui altari scorreva il sangue dei maiali immolati in suo onore. Perpetuata con sacralità e mistica devozione la lavorazione del maiale, trionfo di sapori e di antichi sentimenti, in Umbria diventa anfiteatro di un’impenetrabile tradizione magico-superstiziosa che individuava in alcune caratteristiche delle interiora della bestia visioni profetiche e rivelatrici.

Il tipo di lavorazione, affidata al lavoro a mano dei norcini che spesso si tramandano il mestiere di padre in figlio, è assicurata da una tradizione millenaria. La stagionatura ha grande importanza sulle caratteristiche organolettiche del prodotto finale e si giova della salubrità dell’aria e delle peculiarità climatiche della zona.
Tra frammenti di memoria e coriandoli di cielo sopravvive una terra gravida di tradizioni arcaiche che si perdono tra le luci soffuse di un alba primordiale nelle cui acque riaffiorano antichi mestieri di antichi artigiani capaci di trascendere Tempo e Spazio per ricomporsi negli orizzonti del mito e della memoria popolare. Un fiore, quello della Norcineria, che germoglia tra i rovi di antichi costumi e fornisce chiavi di lettura storico-antropologiche attraverso le quali ricostruire epopee di maestri ed artigiani, depositari e custodi della sapienza umbra.
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Nei dintorni:
- Norcia, la Città dei Santi Benedetto e Scolastica;
- Preci, il Paese dei Chirurghi;
- Monteleone di Spoleto, il Leone degli Appennini;
- Cascia, la Città di Santa Rita;
Da gustare:
- I Formaggi;
- Il Miele;
- La Cicerchia;
- Il Farro di Monteleone di Spoleto;
- La Lenticchia di Castelluccio di Norcia;
- La Roveja di Civita di Cascia;
- Il Tartufo Nero della Valnerina;
- Lo Zafferano;
- La Trota del Nera;