Così narrano la morte di Rita le consorelle – biografe: << S’avvicinava ormai l’ora del felice passaggio della beata Rita, quando apparvero il Redentore e la Madre che la invitarono a salire al cielo. Resa gioiosa dallla visione, chiese i santissimi sacramenti e s’accinse a lasciare per sempre questo mondo. Composto nel povero lettuccio il suo corpo debolissimo, sfinito dalle tante penitenze piacevolmente s’addormentò nel Signore. Ed ecco che, all’improvviso, le campane della chiesa iniziarono a suonare senz’essere mosse da mano umana. La beata morì il 22 Maggio dell’anno 1447>>.
L’episodio delle campane suonate dagli angeli richiama alla mente la morte di un altro beato umbro, l’eremita Giolo da Sellano, morto circa un secolo prima di Rita da Cascia. Ludovico Jacobilli così narra l’episodio :<<Colmo di meriti e d’anni, rese la sua anima a Dio a 9 di Giugno circa l’anno 1351. La sua morte fu illustrata da Dio con miracoli: poichè, per opera Diuina, le Campane della Chiesa Matrice del Castello di Sillano, sonarono senza esser toccate da mano humana>>.
Il corpo di Rita, probabilmente, non venno sepolto. Posto dapprima in una semplice cassa di legno di pioppo, conosciuta nella letteratura ritiana come “Cassa Umile”, fu in seguito racchiuso nella “Cassa Solenne”, l’arca ornata da pitture che ancora oggi si conserva nella sua cella. Per lungo tempo il corpo incorrotto emanava un soave odore. Quando le consorelle scrissero il Breve Racconto, a quasi 180 anni dalla morte dell’Avvocata degli Impossibili, tale profumo ancora avvolgeva i resti della Santa di Cascia. Secondo la tradizione cui fa riferimento il testo, basata su una lunga ed attenta osservazione, ogni volta che un miracolo stava per compiersi, il profumo aumentava d’intensità e si avvertiva a distanza.
Successivamente il corpo di Rita fu trasportato nella chiesa del Monastero per essere esposto alla venerazione di quanti già le attribuivano il merito della santità. Si narra che, tra quelli che erano accorsi a vedere per l’ultima volta la santa vedova di Roccaporena, vi fosse un falegname di nome Cicco Barbaro, storpio nelle mani. Dinanzi a Rita, mastro Francesco, colto da profonda commozione, esclamò: <<Oh se non fossi storpio, la farei io questa cassa.>>. Dichiarazione spontanea di un artigiano che, nell’opera delle proprie mani, mette il meglio di sè ed attraverso di essa esprime tutto il suo amore. Pronunciate quelle parole, immediatamente guarì e a lui fu concesso l’onore di costruire la prima cassa.
Il 1457,la cassa fabbricata da mastro Cicco, in seguito ad un incendio da cui non venne danneggiata, salvo lieve tracce d’ustionem venne messa, privata del coperchio e coperta da un velo, in un’arca dipinta la “Cassa Solenne”. Nello stesso anno, per disposizione delle autorità comunali, iniziò la redazione del Codex Miracolorum, che enumera e descrive i miracoli a attribuiti a Rita. Ed è questo un altro fatto che induce a riflettere: come mai, in quel decennio che sarebbe intercorso tra la sua morte e l’inizio della redazione del Codex non si registrano miracoli.
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