Il primo a chiamare Rita “Avvocata degli Impossibili”, nel 1710, quasi due secoli dopo la sua morte, fu Francisco de Brito, eremitano portoghese. Da allora, questo titolo cominciò ad essere usato nelle biografie della Santa, ripetuto nella causa di canonizzazione fino a divenire parte integrante delle convizioni che animano il suo popolo. Perchè? Tenteremo di rispondere brevemente ad un quesito che accompagna molti dei fedeli che scelgono Cascia come luogo per ritrovarsi.
La prima considerazione riguarda la fede: il fiume dei pellegrini che, da vicino e da lontano, s’avvicenda nei luoghi di Rita è sospinto dalla certezza di essere ascoltato, con la viva speranza di venire esaudito. Quella certezza li guida lungo gli angoli più nascosti di Roccaporena che videro Rita fanciulla, madre, vedova. Ne conobbero l’assenza durante il lungo silenzio del chiostro, fino al suo ritorno glorioso come santa. La stessa certezza fa confluire il fiume di supplici nel grande Santuario che li accoglie e li purifica per restituirli rinnovati alla vita. La certezza che anima quella gente è profonda e possente come lo scorrere del sangue; necessaria come il respiro che alimenta il battito cardiaco, inafferrabile ed indiscutibile come la fede, viva come la fiamma di speranza che prorompe dall’abisso ad illuminare il cammino. E’ la certezza che permette alla piccolezza umana di attingere all’onnipotenza divina.
Sostando nei silenzi del Tempio, il pensiero si appiattisce tra gli aliti del vento e della preghiera, ignaro delle domande delle risposte che alimentano l’investigare umano. Nell’osservare l’affresco in cui la Santa, stanca e gioiosa, poggia il capo sulle ginocchia del Cristo, giudice dell’Universo, l’animo comprende il perchè di quel titolo così ingombrante: “Avvocata degli Impossibili”. Ed è allora che il significato più nascosto di quelle spoglie custodite nell’arcata vegliate dalle quattro virtù cardinali si rivela. Quella figure allegoriche nascondono il compimento di una via di perfezione e, allo stesso tempo indicano il modo attraverso il quale Rita ha raggiunto il cuore di Dio: la pratica eroica delle virtù.
Quella sacra spoglia residuale si svela agli occhi speranzosi del’animo umano, come il guscio vuoto di un seme cresciuto in una pianta fiorita nei cieli che protende i suoi frutti verso la terra offrendoli alla sete degli assetatti, alla fame degli affamati. Frutti che, di era in era, non conoscono l’alternarsi delle stagioni. Come i fichi e le rose dell’Orto del Miracolo, essi hanno il potere di maturare anche nel più algido degli inverni. Quel corpo, dono prezioso, è qui per tutti coloro che hanno bisogno di ancorare la fede a prove tangibili; è qui per quanti tendono l’orecchio a percepire, nell’eco di un ricordo, l’osanna lanciato da Rita nell’Eternità. Potrebbe anche non esserci più, quel corpo, e nulla cambierebbe nel perenne miracolo della Santa di Cascia. Osiamo dire che quel sacro involucro sta a Rita come la croce al Risorto, il valore di entrambi consiste nell’essere stati patiboli propedeutici alla Resurrezione. Da allora, dopo la loro vittoria, Rita e Cristo vanno cercati oltre la tomba.
Dinanzi all’urna di Rita potrebbe dirsi, con le parole degli angeli posti a guardia del Sepolcro, <<Non è più qui>>. Eppure, dopo seicento anni, la Santa è ancora qui, in mezzo alle sue creature, come non lo è stata mai da viva. Ecco il suo primo, sostanziale miracolo. Seguendo l’esempio del Maestro, Sant’Agostino aveva stabilito che il compimento dell’amore consiste nella duplice, inseparaile dedizione dell’uomo a Dio ed al prossimo. Rita aveva seguito quella santa regola: sull’esempio del Cristo, aveva appreso come commisurare l’autenticità della propria fede in base alla pesantezza della croce che le era stata posta sulle spalle ed alla forza dell’amore con cui aveva accettato di portarla. Per questo, per amare in modo teologicamente perfetto Cristo e in lui i fratelli, aveva chiesto di essere fatta partecipe dell’agonia della croce, nella quale aveva imparato ad amare l’umanità morente. Il frutto della santità ritiana svela un miracolo d’amore e nasce dall’unione dell’umano col divino, in cui avviene il trionfo del divino e dell’umano.
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