L’Umbria dei formaggi
In Valnerina, la produzione del formaggio è legata perlopiù all’antica tradizione casearia tipica dell’Appennino che ad una vera e propria tipicità del prodotto. I pascoli del Pian Grande e del Pian Piccolo, degli altipiani di Mucciafora e di Chiavano – nei cui ecosistemi si sviluppano piante aromatiche uniche nel loro genere – si presentano al visitatore odierno con le stesse caratteristiche che avevano al tempo dei Romani. Oggi, questi pascoli forniscono ancora del buon foraggio, indispensabile per la trasformazione del latte in un prodotto di qualità. La bontà, il sapore e la genuinità dei formaggi umbri sono conseguenza naturale tanto di una tradizione sopravvissuta ai colpi della grande distribuzione quanto all’influenza di quel patrimonio naturalistico ancora incontaminato che rende famosa l’Umbria nel Mondo.
Pastori in Valnerina, quando la tradizione incontra la storia
Antichissima è la tradizione dell’allevamento in Umbria, nonostante negli anni 50 e 60 venisse considerata unicamente come fonte di sostentamento sussidiaria all’economia della famiglia contadina. Se il latte bovino veniva venduto direttamente dai contadini che – con il tradizionale bidoncino in alluminio – bussavano alle case di paesi e città, il latte ovino veniva invece trasformato in ricotte e formaggi venduti nei mercati locali. Successivamente, con la fine della mezzadria, si capì che l’attività zootecnica connessa alla produzione di formaggi poteva diventare un’importante fonte di reddito per le aziende agrarie del territorio: in risposta alle difficoltà legate alla trasformazione del latte nacquero i primi caseifici sociali.
Il pecorino umbro tra etimologia e letteratura
Il formaggio non faceva parte dei banchetti rituali che gli antichi popoli umbri consacravano al pantheon delle divinità italiche ma, nonostante questo dato antropologico che tradisce solo apparentemente una storia millenaria, i linguisti ritengono che il vocabolo latino “caseus” (formaggio) derivi dal termine “quaseio”, particolarmente ricorrente nella lingua degli antichi popoli umbri. Il termine “kuat-s-ejo” indicava infatti il caglio, l’elemento che fermentandosi diventa formaggio. Linguisticamente, la radice del lemma “cacio” è di astrazione indoeuropea: kuat, che significa appunto fermentare, inacidire. Da questa parola, che probabilmente veniva pronunciata “casio”, è derivato il termine latino “caseus”, da cui poi cacio. Nel I secolo d.C Plinio il Vecchio, nella sua “Storia Naturale”, elogia il pecorino umbro, all’epoca chiamato “sarsinate” ed, a tale proposito, non si possono non menzionare gli scritti dell’agronomo Corniolo della Cornia, vissuto in Umbria tra il XIV ed il XV secolo.
Un vecchio proverbio ed un medico goloso
Il più famoso proverbio sul formaggio “Al contadino non far sapere quant’è buono il formaggio con le pere” è un antico detto nato grazie alle indicazioni alimentari di Castore Durante, medico gualdese del Cinquecento. In un suo trattato scrisse infatti: “Il nocumento del cacio si può ridurre mangiandosi seco in compagnia di pere”. All’epoca il cacio era considerato il cibo dei poveri, mentre al contrario le pere erano un lusso per pochi. Fu quindi il medico di Gualdo Tadino a elevare il formaggio a vera e propria delizia.
Non si conoscono bene, invece, le origini del caciocavallo : questo tipo di formaggio viene citato per la prima volta da Franco Sacchetti nel 1350. In una delle sue novelle, infatti, racconta la storia di un cieco di Orvieto derubato dei cento fiorini che avrebbe voluto utilizzare per acquistare il cibo di cui era più ghiotto: il caciocavallo.
La caciotta nei ricettari umbri
La caciotta, tradizionale formaggio vaccino che si ricava dal latte ricavato dal bestiame al pascolo in primavera, viene citato a più riprese in numerosi ricettari e trattati di cucina umbra: basti pensare nel 1931 Il formaggio in questione apparve per la prima volta nella guida gastronomia italiana del TCI. Sul mercato La caciotta della Valnerina risulta particolarmente apprezzata per una delicatezza al tatto ed al gusto che difficilmente può essere replicata, essendo ricavata dal latte intero appeno munto. La storia della caciotta nasce sulla falsariga del pecorino, la cui tecnica produttiva si differenzia solo per alcuni accorgimenti.
Come nascono le caciotte?
Nel momento storico in cui si abbandonò la pratica della transumanza e prese a svilupparsi la catena del freddo, i produttori immisero sul mercato un formaggio meno stagionato, meno forte e piccante, che potesse riscontrare il consenso di un pubblico più vasto: nacque così la caciotta. Le Caciotte possono però anche essere aromatizzate con erbe selvatiche o spezie, come nel caso di quella al peperoncino campana, o quelle al tartufo e alla cipolla tipiche dell’Umbria.
Queste tipologie di formaggi sono molto saporiti, ed è perciò consigliato abbinarli ad un buon vino poco aromatico e consumarli al taglio da soli, in modo da apprezzarne appieno il sapore.
La ricotta salata della Valnerina, un presidio slow foow dal profumo di formaggio
Retaggio della pastorizia di transumanza è la ricotta salata e stagionata che i casari confezionavano quando la produzione era notevole e non trovava uno smercio immediato.Questa ricotta anziché nelle “fuscelle”, viene insaccata in contenitori di tela conici, ben stretta e appesa per lo sgrondamento. La salatura si effettua non appena il prodotto è solidificato.La ricotta salata, dalla caratteristica forma a pera, senza crosta, con una pasta bianca e compatta, dopo una stagionatura di qualche giorno è pronta per essere consumata: ottima condita con olio e pepe. Portata a stagionatura più avanzata, la si può usare grattugiata per preparare saporiti primi piatti.
Dall’Umbria alla Maremma, storia e sapori della transumanza
Le origini di questo prodotto caseario si rifanno ai ritmi della transumanza, ai tempi in cui l’allevamento di ovini e caprini era ancora tra le maggiori attività economiche per le popolazioni dell’Alta Valle del Nera. Alla fine dell’estate, in vista del ritorno verso i pascoli invernali nel Lazio, i pastori avevano l’esigenza di conservare e trasportare i prodotti della lavorazione del latte. Tra questi, la ricotta, che veniva sistemata in un sacco di canapa, strizzata per eliminare la parte liquida, salata (e coperta con erbe spontanee o crusca in alcune varianti) e lasciata asciugare appesa, nelle cantine o nei locali di stagionatura del formaggio, per un periodo che va dai 15 giorni ai 5 mesi. Ed è proprio durante il periodo di stagionatura che la tela di canapa, sformata dal peso del suo prezioso contenuto, dà alla ricotta la sua caratteristica forma “a pera”, stretta ad una estremità e più larga all’opposta.
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