<<I soli atti di fanciullezza del Cristo dei quali si abbia testimonianza sono atti di obbedienza: obbedienza al padre Celeste ad ai genitori terreni>>. L’unico episodio riprotato dai Vangeli riguardo a questo periodo della sua vita è il dialogo dei dottori della Legge ed il suo ritrovamento nel tempio. I fanciulli, se accompagnati dalla salute e dall’amore dei genitori, crescono nel migliore dei modi: legge dell’umana natura che il Figlio ha assunto assoggettando la sua physis divina alle norme vigenti nella materia signata quantitate. In Gesù, come in ogni bambino desideroso di apprendere, la crescita biologica si accompagna allo sviluppo della conoscenza acquisita tramite esperienza diretta. In lui le leggi della natura umana sono perfettamente conservate, compreso lo sviluppo fisico ed intellettuale. In quanto logos di Dio, egli contiene in sè la sapienza del Padre e non ha bisogno di apprendere la realtà dello spirito: in lui la sophia è inseparabile dalla natura divina.
Nell’affresco di Silvio Consadori, custodito nella Basilica di Santa Rita a Cascia, l’architettura che funge da sfondo evoca quella del Tempio ove si svolse l’incontro tra il divino fanciullo ed i dottori della Legge. Il Cristo, con la corta tunica degli adolescenti, è intento a spiegare il contenuto di un testo aperto sul leggio. Poggia la mano sul cuore, quasi a palesare la realtà che ne scaturisce. Come la parola esprime il contenuto del pensiero così Gesù in quanto Logos – Pensiero del Padre che si fa Parola, Figlio e Verbo di Dio – rivela il pensiero del Padre. E lo trasmette per mezzo dello spirito che predispone cuore e mente della creatura all’ascolto. Il Figlio è venuto a portare a compimento l’opera educatrice del Padre iniziata ai tempi dell’Eden, disattesa dall’umanità colpevolem ma in nessun tempo interrotta.
Come ogni genitore anche il Padre realizza pienamente la sua paternità mediante l’educazione dei figli affidata, prima della venuta del Fanciullo, ai profeti ed ai maestri di verità. I tre dottori ascoltano, taciti e pensosi: il testo greco dice : << erano tutti fuori di sè >>. Uno di questi, a occhi serrati, medita su quegli insegnamenti che dischiudono prospettive mirabili e pericolose. Un altro poggia il meno alla mano, nello sforzo di capire. Un terzo, più scrupoloso o più diffidente, cerca in un libro riscontro alle parole di quel fanciullo prodigio. Uscendo dal tempio, quel medesimo fanciullo apprendista – falegname, fedele al mandato del Padre, il quale lo ha inviato tra gli uomini come testimone di verità, con la stessa obbedienza seguirà i genitori terreni.
L’immagine di San Giuseppe col piccolo Gesù dipinta all’entrata della Basilica di Santa Rita a Cascia, coglie con efficacia il tenere affetto del padre nei confronti del figlio adottivo affidatogli dalla provvidenza. L’umile artigiano, uomo nel pieno del suo vigore, sorregge il piccolo benedicente con la mano sinistra, nell’altra stringe con fierezza il giglio della purezza: emblema che appare scontato tra le mani dei tanti Giuseppe decrepiti proposti da un’arte bigotta, incapace di credere che un voto di castità sia possibile per amore senza essere imposto dalla vecchiezza. Lo sguardo del falegname è assorto, a fissare un punto posto al di fuori della rappresentazione e della realtà visibile: un mistero di cui egli è partecipe. Un mistero che dall’eternità è disceso nella storia.
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