La casa, in cui il pellegrino può sostare con l’assoluta certezza che questa fu la dimora di Rita, è composta di un solo ambiente costruito con muri di pietre irregolari. L’ambiente, di pianta quasi quadrata, misura, all’interno, m. 5,52 della parete d’ingresso; m. 4,44 nella parete di sinistra; m. 4,64 in quella di destra e m. 5,39 nella parete di fondo. L’altezza dal pavimento al tetto a doppio spiovente, calcolata dal trave di culmine, è di m. 6,51; l’altezza, dal punto di appoggio alle pareti, è di m.5,91. A sinistra dell’arco è tracciata la scritta : QUASI ROSA PLANTATA SUPER RIVOS AQUARUM: <<Come rosa piantata sui ruscelli>>; a destra: ET QUASI FLOS ROSARUM IN DIEBUS VERNI : << E come fiore di rose nei giorni d’inverno>>.

La Casa maritale in cui Rita da Cascia visse con il marito Paolo Ferdinando Mancini.
I giudici che parteciparono al processo per la beatificazione, visitarono la casa maritale di Rita il 29 di Ottobre del 1626 e la descrissero come “domuncula”, casetta <<in cui ella abitava da sposata e vi era restata da vedova prima di prendere l’abito monacale>>. Il dato acquisito dai notai è chiaro: Rita visse in quella casa da sposata e da vedova, finché non entrò in monastero. Se i documenti lasciano aperta la possibilità che Rita, prima del matrimonio, abitasse altrove, escludono in modo netto la possibilità che, dopo il matrimonio, abitasse, almeno in modo stabile, da qualche altra parte. All’epoca del processo, la domuncula era abitata dalla signora Diamante, moglie di Piervincenzo del fu Giacomo Sante e della fu Allegrezza.
La casa si componeva di un unico stanzone a pianterreno, dal quale si accedeva ad un ambiente superiore – solaio o stanza – posto sotto il tetto, suddiviso in due vani: uno più grande, l’altro più piccolo, con una porta che s’apriva a sinistra dell’ingresso ed una finestrella che guardava ad oriente. Il vano prospiciente la strada presentava una piccola apertura nel tetto dalla quale si poteva scorgere il cielo. La proprietaria dell’ex casa maritale di Rita, la signora Diamante, disse ai giudici che sua madre, morta all’età di ottant’anni, raccontava che da quell’apertura entrava un angelo a visitare Rita e che costei, quando pregava, era solita sistemarsi proprio sotto di essa, perché da li poteva vedere il cielo.

Interno della Casa Maritale di S.Rita oggi adibita a Cappella.
L’apertura del tetto rimase per tutto il tempo in cui la madre della Diamante visse in quella casa. Dopo la morte della cara mamma, la figlia decise di chiudere la piccola feritoia. Fu grande sorpresa quando, al mattino, Diamante, non trovò più le tegole a loro posto. Ci riprovò una seconda volta, ottenendo il medesimo risultato. Da allora, la prudente donna smise di provarci e ritenne il fatto un miracolo operato da Rita. Il miracolo, o come lo si voglia chiamare, evoca una sottile analogia tra la ferita del tetto, che si ostinava a restare aperta ad ogni costo, e la piaga sulla fronte di Rita rimasta aperta per quindici lunghi anni.
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