Il canto del cuculo che, specie nei villaggi montani, risuonava all’improvviso, come per incanto, tra gli alberi ancor spogli sullo sfondo delle cime innevate annunciava la fine dell’inverno e la primavera ormai prossima. Il canto novello era ritenuto saturo d’un misterioso e benefico potere di rinnovamento e guarigione. Lo si attendeva con trepidazione pronti a rotolarsi a terra – quasi ad impregnare il corpo della forza vitale della terra ridesta – per premunirsi dai dolori. Oppure si badava di non essere sorpresi dal cuculo senza qualche moneta in tasca. Come la terra, dopo il lungo letargo invernale, s’apprestava a rivestirsi di erbe e di fiori, così pure la salute e la fortuna, si sperava, si sarebbero rinnovate.

Il cuculo (Cuculus canorus Linnaeus, 1758) è un uccello della famiglia Cuculidae. È voce onomatopeica che deriva dal verso caratteristico “cu-cu, cucù”.
Come nacque il cuculo? Secondo una leggenda del territorio, un giorno un tale, forse un mendicante, si avvicinò ad un pastore che aveva appena finito di mungere per chiedergli un po’ di latte. Il pastore avaro, vedendo sopraggiungere l’intruso e sospettandone le intenzioni, si mise a sedere sul calderone colmo di latte in modo da nasconderlo. Quando il forestiero fece la sua richiesta, il pastore rispose : “Non c’è gnente! Ormai le capre so’ monte e non se ponno annà a tocca”. Allora il mendicante maledisse il pastore dicendo : “Que pozza diventà cucule come tiè ‘l latte sotto al cule”.

Il cuculo è lungo circa 30–35 cm, ha un’apertura alare di 55–60 cm e pesa 70-160 g. Il piumaggio è sull’azzurro nella parte superiore, mentre nella femmina talvolta può essere rossiccio.
E’ probabile che il nostro informatore, dal quale abbiamo appreso questa historiola, abbia perso per strada pezzi della narrazione udita molti anni indietro, ma il nucleo è ancora riconoscibile e permette di classificarla tra la historiolae edificanti in cui i personaggio principali sono due: un mendicante affamato che chiede da mangiare; una persona che potrebbe dargli qualcosa; ma non la dà perché taccagna o malevola. In seguito al rifiuto, il mendico maledice l’avaro. E l’avaro subisce il meritato castigo. Nel nostro caso, però, la maledizione ha il potere di trasformare il pastore tirchio e bugiardo in un uccello, per cui è lecito ipotizzare che, nella versione, originale, dietro le spoglie dell’umile questuante ci sia stato un personaggio di ben altra levatura: un santo – forse San Pietro – che compare spesso in narrazioni di questo tipo come inviato di Cristo – o, forse, lo stesso Cristo.
Il canto del cuculo si sente fino verso la fine di giugno o i primi di luglio, poi non più, per cui si diceva: << Il cuculo aspetta fino a quando s’è raccolto il grano, poi se ne va>>. A Fogliano si sosteneva che il cuculo avesse paura della mietitura, dei mietitori e dei mannelli di grano perché ,secondo una leggenda, il padre del cuculo sarebbe stato ammazzato su un covone. Tuttavia l’incompatibilità tra il cuculo ed il lavoro nei campi, nei racconti popolari della Valnerina, può spiegarsi con la fama di ozioso e scroccone di cui il canoro pennuto gode.

Vastissimo l’areale di presenza della specie, che comprende l’Europa e gran parte dell’Asia, fino al limite della vegetazione arborea nell’Artico, a nord, e all’Africa nord-occidentale, a sud.
Quando cantava il cuculo, un po’ ovunque nella Valnerina, ci si rotolava a terra per preservarsi dai dolori. Le radici di queste usanze popolari affondano le loro origini in antiche credenze delle quali l’espressione più conosciuta è il mito di Anteo, il gigante ucciso da Ercole, il quale acquisiva la propria forza dal contatto con la terra. Nel momento in cui il cuculo, col suo canto, inaugura la primavera, la terra è satura d’energia vitale. Il cuculo fa udire il suo canto all’improvviso, dal folto del bosco, quando inizia la primavera e, per chi ha avuto modo di udirlo ogni anno, il suo ritorno suscita ogni volta senso di mistero, di lontananza e di arcano, evocando l’incipiente risveglio della natura. Queste sensazioni vengono avvertite in modo simile anche presso altre culture, a latitudini diverse.
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Nei dintorni:
- Cascia, la Città di Santa Rita;
- Preci, il Paese dei Chirurghi;
- Norcia, la Città del Tartufo;
- Scheggino, il Diamante Nero della Valnerina;
- Santa Anatolia di Narco, la Valle del Drago;
- Vallo di Nera, il Borgo-Castello;
- Cerreto di Spoleto, il Paese dei Ciarlatani;
- Poggiodomo, la Terra del Cardinale;
- Monteleone di Spoleto, il Leone degli Appennini;