Umbria mistica, l’Ascensione nel pensiero magico e religioso dell’Appennino
Dal contado della Valnerina, l’Ascensione era vissuta come festa di rinnovamento cui fa da sfondo lo splendore della trionfante primavera. L’ascesa del Risorto santificava l’aria, l’acqua, la terra. La potenza di Colui che ha vinto la morte, si trasmetteva alle piante ed alla natura conferendo all’acqua ed alla rugiada mattutina il potere di prevenire e sanare i mali. Le vivande lasciate per tutta la notte “al sereno” sui davanzali, penetrate dal potere del Risorto, il giorno seguente venivano consumate dai membri della famiglia riuniti intorno al desco festivo. I pascoli, impregnati anch’essi di quel divino potere, trasmettevano la loro virtù salutare al latte che i pastori mungevano all’alba dell’Ascensione.
Tre usanze riguardanti l’Ascensione che (forse) non conosci
Le usanze che accompagnavano la festa dell’Ascensione sono molteplici e significative. Tipica era l’esposizione di lumi alle finestre durante la notte antecedente il giorno dell’Ascensione assieme ad acqua e cibi che il Risorto avrebbe benedetto salendo al cielo. Quella stessa notte, i contadini erano soliti gridare da un campo all’altro: “Domani l’Ascenziò’, ‘gni spiga ‘n canto’ “ augurandosi che le spighe di grano fossero cariche di chicchi. A Norcia, nei campi di grano si accendevano falò propiziatori in difesa delle messi. Quei fuochi avrebbero attratto l’attenzione del Risorto motivando la sua benedizione.
“Lu caciu benedetto”
Tra i cibi esposti all’aria di quella santa notte vi erano pane, lievito, acqua uova, sale e giuncata, la quale veniva distribuita gratuitamente dai pastori. Da alcune ricerche effettuate in Valnerina è emerso che , per la preparazione di quest’ultima, si usava solamente il latte prodotto dalle erbe dei campi dove le mucche avevano pascolato il giorno della vigilia.Nel giorno dell’Ascensione ogni lavoro era proibito: i vecchi dicevano che gli uccelli evitavano di cantare e di nutrire i loro piccoli, che i pulcini non beccavano l’uovo per uscire ed il lupo non portava in bocca i suoi cuccioli. In vari luoghi dell’Appennino, si preparava una forma di formaggio sulla quale veniva impressa una croce. “Lu caciu benedetto” veniva conservato per essere usato, l’anno seguente, nella preparazione della torta pasquale.
“La fojata”
A Cerreto di Spoleto si preparava “la fojata”: una sfoglia di farina di grano farcita con erbe dei campi insaporite con lardo, erbe benedette dal passaggio del Risorto e dalla rugiada di quella santa notte. “La fojata” veniva cotta sotto la brace dopo essere stata coperta dalla “tegghia“: tegame di rame che anche nel nome – derivato dal latino tegula (tegola) – tradisce l’origine del costume e la sacralità inerente la sua remota antichità. Chi disponeva di un proprio forno da pane, in omaggio all’usanza degli avi, avrebbe comunque cotto sotto la tegghia la fojata dell’Ascensione.
“I sippùli”
A Norcia e dintorni, in occasione dell’Ascensione, veniva preparati i “sippùli”: gustosi dolcetti all’anice fritti nello strutto. In tale occasione, tra i borghi e le campagne della Valnerina giravano astuti commercianti – gli “anisari” – i quali vendevano i ricercatissimi semi di anice con cui venivano insaporiti le antiche ricette della tradizione. Il loro fragrante sapore ed il fresco profumo connotavano la letizia festiva.
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