Nella religiosità popolare della Valnerina, la morte non produce la cessazione totale dei legami che uniscono tra di loro i congiunti. Oltre alla preghiera, alle messe di suffragio, al mese dedicato al culto dei morti, la relazione dei defunti con i loro famigliari si manifestava non solo nel ricordo e nelle devozioni: il defunto poteva oltrepassare la barriera che separa i morti dai vivi e tornare a far visita ai suoi parenti, o manifestarsi in certi luoghi. In Valnerina, la voce dialettale “rescappà” veniva utilizzata a proposito delle improvvise apparizioni notturne dei fantasmi. Buono o cattivo, glorioso o dannato, un fantasma è sempre un fantasma e, come ogni alterità, la sua intrusione nell’ordine consueto della vita risulta potenzialmente pericolosa.

Spiriti guardiani, la Biocca d’oro
A proposito di fantasmi e di leggende locali, particolare menzione meritano le anime guardiane dei tesori. Trattasi di anime appartenute a uomini e donne oggetto di sacrifici: vincolati da formule magiche, gli spiriti dei malcapitati sono costretti a non abbandonare il luogo della sepoltura. Per essere liberati, il coraggioso cercatore deve resistere alle apparizioni di quei fantasmi i quali, spesso, assumono forme terrifiche. A Monteleone di Spoleto, in località Sciudri – che è anche il nome del monte la cui cima è detta “La Biocca d’oro” – c’è un grande cumulo di sassi sotto i quali la leggenda narra essere stata sepolta una chioccia dai pulcini d’oro. Non a caso, per riferirsi alla cime del monte, si usa anche dire “su la biocca”. Si narra che, una volta, qualcuno provò a rimuovere le pietre. Mentre era intento nell’opera, il cielo s’annuvolò ed iniziarono a scoppiare tuoni e fulmini. Questi fenomeni, che si scatenano improvvisamente, dicevano i vecchi, derivano dal fatto che , per proteggere il tesoro, in loco fu uccisa e sepolta una persona.

Anime e farfalle
In Valnerina, i vecchi d’un tempo sostenevano che le farfalle notturne, intente nel girare intorno al lume, fossero le anime di defunti che chiedevano preghiere e messe di suffragio e, per questo motivo, era proibito scacciarle o ucciderle. A tale proposito, ben si presta una comparazione estremamente interessante: nella Grecia arcaica il termine psyche, veniva utilizzato per far riferimento sia alle farfalla che all’anima e, contestualmente, nell’iconografia classica, invece, Psyche – fanciulla di straordinaria bellezza e, in quanto tale, personificazione dell’amore terrestre – è raffigurata con ali di farfalla. Una piccola quanto insolita curiosità…tra le tribù Shuar-Jìvaro dell’Alta Amazzonia, le anime dei guerrieri che aspettano di reincarnarsi volteggiano, nei presi delle sacre cascate, attendendo l’incantesimo della “farfalla“: lo sciamano, dopo aver intonato un carme magico, distacca le ali del grazioso insetto in modo da togliere all’avversario la forza di combattere.

La Scarmijata
Il concetto di anima “dannata” non va inteso alla lettera. O meglio: oltre alle anime di quelli che, per loro condotta di vita hanno meritato le fiamme dell’inferno, dannati sono anche gli spiriti si mostrano attraverso apparizioni terrifiche. Un nostro anziano informatore racconta che, nei pressi della chiesa di Ruscio, di notte soleva apparire una donna dai lunghi capelli scomposti, detta per questo “la Scarmijata”, la quale incuteva timore ai passanti. I mulattieri, che si trovavano a passare di notte nei pressi della chiesa, vedevano – tra i cespi di rose che crescevano sul retro del santuario – la fiammella tremolante di un lumino e ne avevano paura. Dicevano che “la Scarmijata”, comparendo dal nulla, saltava all’improvviso sulla groppa dei muli facendoli impazzire dal terrore. Altri, erano convinti che fosse una strega.
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