La cucina come “luogo” di aggregazione
Nella Valnerina d’un tempo, la cucina costituiva uno spazio particolarmente importante: tra le sue mura, le donne lavoravano gli alimenti destinati alla tavola trasformandoli in rustiche pietanze. Oltre ad essere un ambiente funzionale alla sussistenza del nucleo famigliare, la cucina costituiva lo spazio in cui per lunghe ore del giorno, mentre gli uomini erano in campagna, le donne potevano conversare liberamente tra di loro. Da questa prospettiva, assieme alla stalla ed al fontanile, la cucina offriva uno degli spazi privilegiati in cui avveniva la socializzazione femminile. La cucina era anche luogo di comune ritrovo per persone appartenenti a diverse generazioni ed attorno al focolare, cuore topografico e simbolico dell’intera casa rurale, avvenne per secoli la trasmissione del deposito tradizionale.

Il focolare
Elemento caratteristico delle cucine d’un tempo era il focolare: l’ampiezza di quest’ultimo poteva superare i due metri di lunghezza, con una profondità di un metro ed un’altezza di circa un metro e mezzo. Il piano del focolare era sollevato dal suolo mediante una base in muratura alta una ventina di centimetri. L’ampiezza della bocca da fuoco permetteva l’impiego di tronchi di grandi dimensioni lasciati ardere durante i vari giorni, usanza che, poco a poco, finì per riguardare soli il ceppo natalizio: “lu cippu” per eccellenza.

Lu credenzone
L’arredo tradizionale della cucina campagnola consisteva in pochi mobili indispensabili: al centro veniva collocata la grande tavola attorno alla quale si riuniva il nucleo famigliare. Nelle case coloniche è ancora possibile ammirare antiche tavole da pranzo che, con l’ampiezza inusuale delle loro robuste superfici, testimoniano di epoche lontane in cui si usava consumare i pasti tutti insieme. Una parete della cucina era destinata ad accogliere la grande credenza (“ lu credenzòne “) in cui molte generazioni avevano già custodito suppellettili e cibo. Le credenze più antiche erano munite di solidi sportelli di legno privi di vetri. Nelle case più rustiche e nelle più antiche, un vano ricavato nella parete, munito di scaffali, fungeva da credenza la quale era protetta da una tenda che scorreva in un bastone o in una verga di ferro munita di anelli.

“Lu ppiccarame” e “lu sciacquaturu”
Oltre alla credenza, appesa alla parete, vi era la piattaia formata da un telaio munito di vari ripiani poco profondi. Dinanzi ad essi correvano assi di protezione destinati a tenere al loro posto le stoviglie d’uso quotidiano. Un telaio di legno munito di due o più trasverse fornite di ganci era destinato ad appendervi pentole e tegami che, essendo anticamente di rame, diedero a questo mobile il nome dialettale di “ppiccarame”: appendi-rame. Per il lavaggio delle stoviglie, le donne d’una volta usavano l’acquaio – detto anche “sciacquaturu” – il quale veniva ricavato da un unico blocco di pietro scavato a scalpello, munito d’un foro per l’uscita dell’acqua. Dietro l’acquaio, la porzione di parete corrispondente alla sua lunghezza era coperta da maioliche,

“Lu manière” e l’“arca”
L’acqua da bere era contenuta nella conca di rame dalla tipica forma a clessidra, munita di due anse di ferro e di un mestolo da attingere, detto “manière”. Tale ramaiolo poteva essere appeso all’orlo della conca oppure veniva lasciato appoggiato sulla superficie dell’acqua. Se durante la notte affondava, si credeva che le anime dei morti fossero venute a dissetarsi. Un altro oggetto indispensabile nelle cucine di una volta era l’ “arca”, destinata alla lavorazione ed alla custodia del pane. Quest’ultima era formata da due parti sovrapposte solidali tra loro. La parte inferiore, munita di due sportelli e di un ripiano interno, serviva da deposito per i filoni di pane.

L’ “arcone”
In prossimità della cucina era ubicato il mobile destinato a custodire le provviste di grano, detto “arcone”. L’“arcone”, le cui dimensioni variavano a seconda della consistenza del nucleo famigliare,poteva svilupparsi in senso verticale ed orizzontale. Era composto, ai quattro angoli, da robusti assi verticali muniti di doppia scalanatura, nei quali alloggiavano – incastrate l’una sull’altra – le tavole che componevano le pareti del mobile. Il fondo dell’“arcone” era composto da tavole appoggiate a due sostegni che, correndo nel senso della lunghezza, s’incastravano anch’essi nei piedritti.
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