Eroi senza macchia e senza paura
Al mito della Sibilla, entità oracolare che abitava la grotta omonima e che da il nome alla celebre catena montuosa che cinge Castelluccio di Norcia, sono intimamente legate le gesta di un audace cavaliere: il Guerrin Meschino, eroe frequentemente citato in molte delle leggende che abbiamo raccolto in loco. Sui Monti Sibillini, costui è di casa: i luoghi raccontano le sue imprese, gli sbiaditi racconti degli anziani parlano di lui, della Sibilla e del suo regno incantato. In nessun altro posto vi è una concentrazione simile di storie e romanzi riguardanti il Meschino: dalle edizioni ottocentesche dei romanzi cavallereschi alle moderne versioni degli anni Cinquanta, in tutta Europa il coraggio del Guerrino ha saputo richiamare l’attenzione di ogni lettore. Quei libri, oggi conservati come reliquie e mostrati con diffidenza agli “avidi” cittadini, un tempo facevano parte del quotidiano: viaggiavano nella bisaccia dei pastori, assieme al Tasso ed all’Ariosto, stazionavano sulle mensole affumicate dei camini. Chi sapeva leggere, recitava ad alta voce il testo, al rezzo degli alberi sui pascoli montani, o accanto al fuoco nelle lunghissime sere d’inverno. Coloro i quali non sapevano leggere, ed erano i più, ne imparavano i versi a memoria. La tradizione scritta tornava ad essere tradizione orale e, come spesso accade, sulla trama originale s’intessevano abbellimenti, variazioni aggiunti ed interpretazioni personali che ne arricchivano il contenuto.
Una leggenda a lieto fine
Una delle leggende maggiormente diffuse sul territorio narra che il Guerrin Meschino fu abbandonato in tenerissima età dal padre, un re di cui la tradizione non ha conservato il nome. Raggiunta l’adolescenza ed animato dall’instancabile curiosità di chi non conosce le sue vere origini, il giovane Meschino, su consiglio dei genitori adottivi, lasciò la Francia per recarsi sui Monti Sibillini, dove, secondo quanto raccontatogli, viveva una profetessa che avrebbe saputo rispondere ad ogni suo quesito. Giunto in Valnerina, il cavaliere incontrò, ai piedi del Monte Vettore, un vecchio eremita, il quale spiegò che, per consultare la Sibilla, avrebbe dovuto resistere per esattamente un anno e tre giorni (e non di più) alle tentazioni delle fate che, in compagnia della veggente, abitavano un regno incantato, situato nelle viscere monti. Commosso dalle dolorose vicende famigliari del giovane, l’anacoreta svelò lui che, per allontanare le seducenti creature, avrebbe dovuto mostrare loro una croce, che generosamente gli donò. Vinte le lusinghe delle fate, l’eroe riuscì finalmente ad interpellare l’oracolo il quale rivelò al cavalieri che suoi i genitori naturali fossero ancora vivi ed imprigionati ai piedi di una torre. Fu così che il Guerrino Meschino, illuminato dall’eremita incontrato all’inizio del suo viaggio in Umbria , riuscì ad individuare il luogo esatto indicato sommariamente dalla Sibilla ed a riabbracciare la sua vera famiglia.
Analizzando il mito del Guerrin Meschino
La catabasi dell’eroe, particolarmente enfatizzata soprattutto nei racconti popolari, non è certo priva di pericoli, esattamente come la permanenza dell’eroe nel regno: qualora si ceda alla seduzione delle fate superando anche per un attimo il periodo prescritto di un anno e tre giorni, si è condannati a restarvi eternamente prigionieri. L’unica speranza di salvezza consiste nel rimanere presenti a sé stessi e nel considerare che tutto, nel regno della fata-regina, compresa la bellezza delle entità femminili che vi abitano, è frutto d’incantesimo e, dunque, illusorio. Per sfuggire agli incantesimi, le buone intenzioni non bastano: bisogna realizzare de visu l’inconsistenza delle visioni, accorgersi della loro illusorietà. Per questo occorre l’aiuto di Dio, previa istruzione da parte di eremiti avvezzi a confrontarsi con le fantasmagorie della magia, nella fattispecie gli eremiti di San Lorenzo, insediamento che storicamente era collocato all’inizio del camminamento che dall’Altipiano di Castelluccio s’inerpica sino al picco della Sibilla. Nei racconti popolari, la prova che il Guerrin Meschino, dovette affrontare, solo, nel regno della Sibilla è la medesima cui sono potenzialmente esposti tutti coloro che, come i pastori, sono costretti a vivere lontano dagli affetti famigliari.
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