Eccoci giunti a scrivere di una delle piante più celebri e temute nell’antichità e nel medioevo perché, oltre alle proprietà narcotiche, afrodisiache e medicinali, la mandragora possiede una forte connotazione magica dovuta alla sua forma antropomorfa. Per questa sua caratteristiche, è divenuta oggetto di culto, mentre, per procedere alla sua raccolta, occorreva prendere delle speciali precauzioni rituali. Si temeva, infatti, che l’entità che dimora nelle mandragore si vendicasse uccidendo l’incauto che la raccogliesse senza le dovute misure.

Le prime tracce dell’utilizzo della mandragora si trovano già a partire dall’antica Grecia dove veniva utilizzata in particolare per favorire il sonno, si metteva a questo scopo una radice in camera oppure si aggiungeva a piccole dosi nel cibo o nel vino.
In lingua greca, i nomi con cui si faceva riferimento alla mandragora sono quanto mai eloquenti. Eccone alcuni: in omaggio alla maga Circe, specialista in filtri amorosi, era detta “circea” (kirkaion) per il potere del suo succo capace di alterare i sensi ed, in dosi massicce, di provocare la morte; in altri casi veniva chiamata “quella che fa impazzire” (morion) in virtù degli usi amatori ma anche letali che di essa si facevano; mentre per la sua forma antropomorfa veniva spesso soprannominata “imitazione”, in riferimento alle sembianze umane di cui richiamava il profilo.

Nell’antichità la Mandragora veniva usata anche come amuleto per propiziare la fortuna, soprattutto in amore ma anche salute e ricchezza. In questo caso la radice doveva essere intagliata in un certo modo e conservata con cura in casa o portandola con sé.
A Castelluccio di Norcia, sebbene nella letteratura scientifica non vi sia alcun riferimento all’esistenza della mandragora in quei luoghi, abbiamo raccolto delle notizie inedite circa un uso alquanto singolare della pianta in oggetto. Il nome col quale la mandragora veniva localmente identificata era “bambolina”. La radice era connotata dal “sesso”, per cui esisteva una “bambolina” maschio ed una femmina. Addirittura il toponimo “Forca Viola”, località particolarmente nota agli amanti del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, era fatto derivare dalla fioritura della mandragora.

Insieme alla belladonna e alla datura stramonium, la mandragora nel medioevo era considerata anche una radice cara alle “streghe” in quanto dotata di potere allucinogeno. Con questa pianta infatti si realizzavano pozioni di ogni tipo.
Uno dei nostri più fedeli collaboratori, al ritorno da un’escursione sulla vetta del Monte Sibilla, racconta che, dopo essere stato ricevuto da un pastore al quale aveva chiesto delucidazioni sull’utilizzo della pianta in oggetto, notò con grande stupore, dentro una cassapanca, una mandragora di “sesso femminile” alta circa venticinque centimetri. La pianta era abbigliata come una bambola, con un vestitino a colori tra cui predominava il rosso. Sul vestito erano appuntate delle banconote mentre, al sua fianco, due scodelle contenenti una lenticchia del luogo, l’altra alcune monete di valuta corrente. L’anziano pastore spiegò che la “bambolina”, se trattata bene, favorisce la produzione delle famose lenticchie locali ed, allo stesso tempo, aumenta la ricchezza del possessore. Dal tono della voce e dall’atteggiamento, tuttavia, il nostro collaboratore avvertii che il pastore, dopo quella straordinaria epopteia, non era disposto ad aggiungere altro.
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