La Valnerina: l’Umbria più ricca, quella più saporita e gustosa, dove è nata l’antica arte della norcineria e dalle cui terre si ricava il prezioso tartufo nero apprezzato in tutto il mondo. Ma anche l’Umbria più verde e selvaggia, solcata da ripidi torrenti e da sempre coltivata per ricavarne inimitabili eccellenze gastronomiche, fra tutte il farro DOP di Monteleone di Spoleto, la Lenticchia di Castelluccio, lo Zafferano Purissimo di Cascia e la Roveja di Civita, presidio slowfood. La stessa terra in cui gli antichi romani prima ed i longobardi poi, hanno innalzato torri e castelli e dove per secoli la vita laica e quella religiosa hanno edificato ed abbellito borghi e città medioevali lasciandoci oggi la possibilità di apprezzare piazze, palazzi, chiese ed abbazie. Tutto questo, ma anche tutto ciò che non si può riassumere in questo itinerario ma che certamente la gente umbra vi trasmetterà, è quello che troverete in questo angolo di Italia. Una proposta gastronomica, la nostra, che vuole rappresentare un spunto per scoprire buoni sapori ed autentica ruralità, arte e natura, elementi che storicamente caratterizzano queste terre. Ed allora lasciatevi incantare dalla maestosità del Pian Grande di Castelluccio o dall’imponente natura che a Cascia garantisce la sopravvivenza del celebre Zafferano. Concedetevi un assaggio di Umbria perché questo è quello che agli umbri piace, perché questa è la nostra cultura
Lo Zafferano:
L’arcano mistero che avvolge l’etimologia della parola “Crocus Sativus”, denominazione scientifica con cui viene comunemente indicato lo Zafferano, si perde nella leggenda del fanciullo Crocco che, avvolto nell’aurea letteraria delle Metamorfosi di Ovidio, si innamorò mortalmente della ninfa Smilace per poi essere tramutato in un biondo fiore di zafferano. La coltivazione dello Zafferano, elemento identitario della storia e dei costumi umbri, attinge alle esperienze di un passato importante inteso come patrimonio prezioso dal quale trarre ispirazione. Un lavoro in cui l’elemento umano è esclusivo: dalla preparazione del terreno, alla scelta dei bulbi passando per il momento della sfioratura fino al confezionamento del prodotto finale. Il palato si muoverà, dunque, tra i suggestivi vicoli della Città di Cascia, alla ricerca di botteghe in cui acquistare il pregiato Zafferano locale.

I bulbi di zafferano (stimmi) vanno interrati tra la fine di agosto e l’inizio di settembre. Evitate di coltivare lo zafferano con terreno bagnato (poco dopo una pioggia), lo zafferano può essere sensibile ai marciumi e non tollera ristagni idrici.
Le Norcinerie:
C’è un mestiere, nel cuore della Valnerina, che custodisce nella sapienza della tradizione umbra gli aromi di un territorio dal sapore inconfondibile: il “Norcino”, poeta e custode dei segreti di un Umbria arcaica. Nel parlare di norcineria è impossibile non citare il Prosciutto IGP della Valnerina, un salume dal passato antichissimo, fatto di abilità manuali e di vocazioni artigianali, di tradizioni tramandate da secoli di padre in figlio ed ormai insite nell’anima più nascosta di questa terra. La lavorazione prevede che il coscio di suino, dopo esser stato rifilato, venga salato per due volte a secco con sale marino e lasciato così per circa 15-20 giorni. Trascorsi il periodo di salagione il prosciutto viene fatto riposare per circa 3 mesi, al termine di tale periodo, il prosciutto viene lavato in acqua tiepida, e appeso per ulteriori 3 mesi per farlo asciugare. Dopo circa 6 mesi, si procede alla stagionatura del prodotto: viene trattato con un impasto di sugna (grasso, farina sale e pepe), poi il prosciutto viene conservato in luoghi appositamente adibiti. Raggiunti i 12 mesi viene effettuata la marchiatura I.G.P. a fuoco dei prosciutti idonei, viene rinnovato l’impasto di sugna e nuovamente lasciato a stagionare.

La giusta valorizzazione della tradizione produttiva del prosciutto di Norcia può partire dalla sua storia per far emergere qualità uniche quali un processo di lavorazione e stagionatura raffinato, un sapore non salato ma saporito, un aspetto magro ed invitante e caratteristiche nutritive d’eccezione.
Il farro DOP:
Sotto il cielo della Valnerina germogliano tre varietà principali di farro: il il Triticum dicoccum – il “farro” per antonomasia- il Triticum monococcum ed una terza specie, il Triticum spelta, detta anche ” falso farro”. Queste tre varietà, assieme ad altre meno note, derivano dal Triticum dicoccoides, appartenente all’ordine delle Gluminfore e rappresentano un elemento imprescindibile tanto nelle pratiche rurale quanto nell’alimentazione degli antichi umbri. Presso i Latini il duro lavoro del contadino era comparato al combattimento del guerriero ed un raccolto abbondante veniva considerata un meritato premio al valore ed alla tenacia dell’agricoltore: un premio alla gloria. L’arcaica ricompensa con la quale si premiava il soldato distintosi in combattimento consisteva in una buona quantità di farro, detta adorea poichè tostata al forno (dal verbo audere, abbrustolire) secondo le antiche usanze dei contadini umbro – sabini. L’ottimo agricoltore ed il coraggioso soldato, dunque, venivano entrambi premiati con uno dei più antichi e sacri doni della Madre Terra: il farro.

Il consumo di farro viene talvolta consigliato nelle diete dimagranti. Si tratta infatti di un alimento saziante, che può aiutare a limitare le quantità di cibo e di calorie introdotte durante i pasti. Il suo contenuto di fibre insolubili favorisce la pulizia dell’intestino e la depurazione dell’organismo.
Il tartufo:
Non si coltiva e non si può riprodurre: il fascino del tartufo è nel suo mistero. Gli antichi lo consideravano cibo degli Dei, con poteri afrodisiaci utilizzati dall’ardente Giove. Ancora oggi, l’armonia dei profumi che sprigiona ammalia gourmet e palati di tutto il mondo. In questo angolo di Umbria, dove si sovrappongono con eguale armonia boschi, odori e leggende , si nasconde un territorio che riserva sapori inattesi che lasciano il palato incredulo, davanti a scorci mai eguali. Il Tuber Melanosporum Vittadini, o Tartufo Nero pregiato di Norcia e della Valnerina, indicato localmente con il semplice appellativo di “Nero” forse per distinguerlo dallo “scorzone”, è un fungo ipogeo appartenente alla famiglia della tuberacee. Decantato in tutto il mondo per l’aroma inconfondibile che lo contraddistingue, il Tartufo Nero di Norcia matura tra novembre e marzo nella zona montuosa dell’Appennino umbro-marchigiano. Il sistema più diffuso e maggiormente utilizzato per l’estrazione del tartufo è la ricerca con il cane, oggi addestrato presso apposite scuole. A questo punto interviene il cavatore che, dopo aver ricompensato l’animale con un gradito boccone, inizia ad estrarre il prezioso tubero. Il Tartufo Nero Pregiato in genere viene utilizzato per accompagnare piatti saporiti quali paste e carni, dopo essere stato preparato in forma di salsa in seguito ad un lungo processo di maturazione. In materia di tartufi un ruolo di rilievo è occupato dallo Scorzone Estivo, il Tuber Aestivum, eccellenza di cui Cascia ed il suo territorio risultano particolarmente ricche. Ricavato in estate con l’aiuto del cane, il tartufo estivo viene utilizzato per condire primi piatti e carni.

La forma del tartufo dipende dalle caratteristiche del terreno in cui si sviluppa: un terreno morbido favorirà la crescita di un tartufo a forma sferica, mentre un terreno duro, pietroso e con molte radici, ne favorirà una forma bitorzoluta.
La Roveja:
Questa è la storia di alcuni piccoli semi colorati, di due donne tenaci e di un barattolo di vetro. Umbria, Civita di Cascia 1998: Silvana e Geltrude mentre riordinano la cantina della casa ricostruita dopo il terremoto del ’79, trovano un polveroso barattolo di vetro pieno di semi colorati. Sono rossi, verdi, marroni e neri, insieme a un foglietto sbiadito dal tempo con scritto a matita un nome misterioso: ”roveja”. Trattasi di un legume che sboccia sulle alture dell’Appennino Centrale, tra i proverbi degli alberi ed i misteri della montagna, per unirsi senza indugio al “bouquet” delle eccellenze gastronomiche umbre. Ed è proprio lo spirito selvaggio a rendere ancora più accattivante la roveja, piccolo ed eroico legume divenuto presidio Slow Food e sopravvissuto grazie a Silvana e Geltrude allo scorrere del tempo. Cosi’ nel 2006 la roveja, antico pisello selvatico, considerato quasi erba infestante, torna a fiorire in Valnerina.

Con ogni probabilità la roveja proviene dal Medio Oriente. Di certo in Europa è conosciuta dall’era preistorica e rappresentava la base dell’alimentazione umana nel Neolitico insieme alla lenticchia, all’orzo e al farro.
RIPRODUZIONE RISERVATA ©
Da gustare:





